Una tredicenne di Bari denuncia maltrattamenti domestici e la privazione del suo smartphone, rivelando un clima familiare violento.
Il caso della tredicenne e la denuncia al 114
Una tredicenne di Bari ha deciso di rivolgersi al 114 per denunciare presunti maltrattamenti domestici che hanno portato alla privazione del suo smartphone . Questo gesto ha messo in luce un clima familiare ostile e violento, come confermato da un’indagine della procura di Trani . La privazione del telefonino è stata descritta come la punta dell’iceberg di una situazione ben più complessa. Inoltre, le rilevazioni della ASL hanno rivelato che la ragazza trascorreva circa dieci ore al giorno nel mondo dei social , un comportamento che ha compromesso la sua attenzione e il profitto scolastico , generando tensioni all’interno della sua famiglia.
Il dibattito sull’autorità genitoriale
Si intrecciano due dinamiche profondamente simili nella storia di una tredicenne di Bari che si rivolge al 114 per denunciare presunti maltrattamenti domestici culminati nell’interdizione dello smartphone e nell’interruzione del collegamento a internet da parte dei genitori. La notizia avrebbe dell’incredibile se non ci fossero due dettagli a renderla terribilmente attuale: l’indagine della procura di Trani , che ha effettivamente acclarato come la privazione del telefonino fosse la punta dell’iceberg di un clima casalingo ostile e violento nei confronti della ragazza, e le rilevazioni della ASL che hanno appurato che sarebbero state dieci le ore trascorse dalla studentessa nel magico mondo dei social , ore che avrebbero compromesso l’attenzione e il conseguente profitto scolastico, generando tensione e scontro all’interno del focolare di casa. È chiaro che, al solo udire la vicenda, scaldano i motori i due partiti sempreverdi dell’educazione : coloro che tifano per l’ autorità genitoriale , e per la conseguente capacità di imporsi sulle devianze dei figli, e coloro che – al contrario – promuovono l’arrendevolezza dei padri come condizione per il dialogo e la crescita armonica degli adolescenti. Il punto, tuttavia, è un altro. È un problema di rapporto con la realtà che riguarda adulti e giovani. Un adulto oggi non comprende davvero che cosa succeda a quel bambino che ha visto crescere davanti ai propri occhi e che, ad un certo punto, trova nel rapporto con il telefono conforto e soddisfazione. Un adulto immagina, teorizza, cerca soluzioni.
Ma nessuna soluzione o idea sembra funzionare. Vale per il telefono, come per il rapporto che tanti giovanissimi hanno con il sesso , con il fumo , con l’ alcool . Si tollera, si cercano spiegazioni teoriche, ma non si arriva mai al dunque. E il dunque è riconoscere che l’altro – il figlio – è un bisogno che io non conosco e che forse non so neppure amare. È paradossale: senza la percezione del mistero che l’altro è, ogni tentativo di rapporto con lui diventa astratto, decade in moralismo o buonismo, perbenismo o spiritualismo. Io non ti conosco, io non so chi sei, e l’unica possibilità di conoscerti è incontrarti ogni giorno, avvicinarmi a te e ri-conoscerti ogni mattina.
Altrimenti tutto diventa ricatto , tutto diventa violenza : o le azioni educative, anche quelle tese a mettere un argine legittimo a comportamenti stupidi, stanno dentro questo rapporto di conoscenza oppure sono forme alternative, e sofisticate, di violenza.
La difficoltà degli adulti nel comprendere i giovani
Un adulto oggi non comprende davvero cosa accada a quel bambino che ha visto crescere e che, ad un certo punto, trova nel rapporto con il telefono conforto e soddisfazione. Gli adulti tendono a immaginare, teorizzare e cercare soluzioni, ma nessuna di queste sembra funzionare. Questo vale non solo per il telefono , ma anche per il rapporto che molti giovani hanno con il sesso , il fumo e l’ alcool . Si tollerano queste situazioni e si cercano spiegazioni teoriche, ma non si arriva mai al dunque. Il vero problema è riconoscere che l’altro – il figlio – rappresenta un bisogno che non si conosce e che forse non si sa neppure amare.
Percezione del Mistero
È paradossale: senza la percezione del mistero che l’altro rappresenta, ogni tentativo di relazione diventa astratto, sfociando in moralismo o buonismo. La mancanza di conoscenza reciproca porta a relazioni basate su ricatti e violenza. È fondamentale che le azioni educative siano radicate in un rapporto di conoscenza ; altrimenti, rischiano di diventare forme sofisticate di violenza.
L’effetto dei social
Dall’altra parte, quella della tredicenne, si osserva un effetto-droga che attenua l’impatto con la realtà. I social forniscono costantemente nuovi impulsi e stimoli al cervello, creando una barriera interiore e una distanza da sé. Questo porta a una forma artificiale di narcisismo , dove il digitale crea un’immagine della realtà e di sé stessi che è lontana dai veri bisogni e dal vero io.
Il mistero dell’esser nostro
La chiave per comprendere perché un giovane cada in questa trappola è semplice: ciò che definisce maggiormente l’autocoscienza dei giovanissimi è la sensazione di essere destinati a “andare sempre più verso sé stessi e a non trovar nessuno”. Mentre agli adulti spesso manca il senso del mistero , ai tredicenni questo “mistero dell’esser nostro” appare come un ignoto da temere. La paura di non valere, di non essere abbastanza e di non poter provare amore è il sentimento dominante della giovinezza attuale. L’immagine offre conforto e il flusso incessante di immagini sui social costruisce una realtà alternativa che porta serenità. È sorprendente pensare che una tredicenne possa chiamare il 114 lamentando la privazione del telefono, ma è altrettanto incredibile non riconoscere il feticcio che il telefono è diventato nella sua vita. Sarebbe auspicabile avere la serietà necessaria per sedersi accanto a un ragazzo distratto e iniziare a parlargli.
La forza di questo gesto, semplice e autentico, non risolverebbe i problemi, ma offrirebbe a entrambi la possibilità di un silenzio carico di vita, capace di far sorgere, in mezzo alla confusione dei nostri giorni, qualcosa di nuovo, qualcosa che si possa ancora chiamare speranza .
Il mistero dell’altro e la violenza educativa
Si intrecciano due dinamiche profondamente simili nella storia di una tredicenne di Bari che si rivolge al 114 per denunciare presunti maltrattamenti domestici culminati nell’interdizione dello smartphone e nell’interruzione del collegamento a internet da parte dei genitori. La notizia avrebbe dell’incredibile se non ci fossero due dettagli a renderla terribilmente attuale: l’indagine della procura di Trani, che ha effettivamente acclarato come la privazione del telefonino fosse la punta dell’iceberg di un clima casalingo ostile e violento nei confronti della ragazza, e le rilevazioni della ASL che hanno appurato che sarebbero state dieci le ore trascorse dalla studentessa nel magico mondo dei social , ore che avrebbero compromesso l’ attenzione e il conseguente profitto scolastico, generando tensione e scontro all’interno del focolare di casa.
Il rapporto con la realtà
Un adulto oggi non comprende davvero che cosa succeda a quel bambino che ha visto crescere davanti ai propri occhi e che, ad un certo punto, trova nel rapporto con il telefono conforto e soddisfazione. Un adulto immagina, teorizza, cerca soluzioni. Ma nessuna soluzione o idea sembra funzionare. Vale per il telefono, come per il rapporto che tanti giovanissimi hanno con il sesso, con il fumo, con l’alcool. Si tollera, si cercano spiegazioni teoriche, ma non si arriva mai al dunque.
E il dunque è riconoscere che l’altro – il figlio – è un bisogno che io non conosco e che forse non so neppure amare.
La percezione del mistero
È paradossale: senza la percezione del mistero che l’altro è, ogni tentativo di rapporto con lui diventa astratto, decade in moralismo o buonismo, perbenismo o spiritualismo. Io non ti conosco, io non so chi sei, e l’unica possibilità di conoscerti è incontrarti ogni giorno, avvicinarmi a te e ri-conoscerti ogni mattina. Altrimenti tutto diventa ricatto , tutto diventa violenza : o le azioni educative, anche quelle tese a mettere un argine legittimo a comportamenti stupidi, stanno dentro questo rapporto di conoscenza oppure sono forme alternative, e sofisticate, di violenza. Dall’altra parte, quella della tredicenne, troviamo un effetto-droga che attutisce in modo impressionante l’urto con la realtà: il meccanismo dei social consiste nel fornire costantemente nuovi impulsi e nuovi stimoli al cervello in modo da spostarne continuamente l’attenzione e creare una sorta di barriera interiore, di distanza da sé. Si tratta di una forma artificiale di narcisismo : il digitale crea un’immagine della realtà e di sé stessi che è lontana anni luce dai propri bisogni, dal proprio vero io.
Il punto, però, è capire perché un ragazzino cada nella trappola. La risposta è purtroppo semplice: ciò che configura di più l’autocoscienza dei giovanissimi è quella frase di Gaber che dice che ciascuno di noi si sente destinato “ad andar sempre più verso sé stesso e a non trovar nessuno”. Mentre all’adulto manca spesso il senso del mistero, al tredicenne questo “ mistero dell’esser nostro ” – per dirla con Leopardi – appare come un ignoto, come qualcosa di cui temere. L’ignoto suscita paura, il Mistero genera stupore, diceva Gregorio di Nazianzo. La paura è il sentimento dominante della giovinezza di questo scorcio di secolo: paura di non valere , paura di non essere abbastanza, paura di non poter provare amore.
L’immagine, allora, dà conforto e il susseguirsi incalzante delle immagini sui social costruiscono una realtà alternativa che porta serenità. È pazzesco pensare che una tredicenne possa chiamare il 114 dicendo che il problema è la privazione del telefono, ma è altrettanto pazzesco ridicolizzarla, non riconoscere quale feticcio il telefono sia diventato nella sua vita. Sarebbe bello avere una tale serietà col proprio cuore da acquisire l’autorevolezza di chi, senza remore, si siede accanto ad un ragazzo distratto e comincia a parlargli. La forza di quel gesto, così semplice e così vero, non risolverebbe nessun problema. Ma darebbe a entrambi un inaudita possibilità: quella di un silenzio così carico di vita da far sorgere, in mezzo alla confusione di questi nostri giorni, qualcosa di nuovo. Qualcosa che si possa ancora chiamare speranza .
L’effetto-droga dei social e la ricerca di conforto
Dall’altra parte, quella della tredicenne, troviamo un effetto-droga che attutisce in modo impressionante l’urto con la realtà: il meccanismo dei social consiste nel fornire costantemente nuovi impulsi e nuovi stimoli al cervello in modo da spostarne continuamente l’attenzione e creare una sorta di barriera interiore , di distanza da sé. Si tratta di una forma artificiale di narcisismo : il digitale crea un’immagine della realtà e di sé stessi che è lontana anni luce dai propri bisogni, dal proprio vero io. Il punto, però, è capire perché un ragazzino cada nella trappola. La risposta è purtroppo semplice: ciò che configura di più l’autocoscienza dei giovanissimi è quella frase di Gaber che dice che ciascuno di noi si sente destinato “ad andar sempre più verso sé stesso e a non trovar nessuno”. Mentre all’adulto manca spesso il senso del mistero , al tredicenne questo “ mistero dell’esser nostro ” – per dirla con Leopardi – appare come un ignoto, come qualcosa di cui temere.
L’ignoto suscita paura, il Mistero genera stupore, diceva Gregorio di Nazianzo. La paura è il sentimento dominante della giovinezza di questo scorcio di secolo: paura di non valere , paura di non essere abbastanza , paura di non poter provare amore . L’immagine, allora, dà conforto e il susseguirsi incalzante delle immagini sui social costruiscono una realtà alternativa che porta serenità. È pazzesco pensare che una tredicenne possa chiamare il 114 dicendo che il problema è la privazione del telefono, ma è altrettanto pazzesco ridicolizzarla, non riconoscere quale feticcio il telefono sia diventato nella sua vita. Sarebbe bello avere una tale serietà col proprio cuore da acquisire l’autorevolezza di chi, senza remore, si siede accanto ad un ragazzo distratto e comincia a parlargli. La forza di quel gesto, così semplice e così vero, non risolverebbe nessun problema.
Ma darebbe a entrambi un inaudita possibilità: quella di un silenzio così carico di vita da far sorgere, in mezzo alla confusione di questi nostri giorni, qualcosa di nuovo. Qualcosa che si possa ancora chiamare speranza .
La paura e il mistero nella giovinezza
La paura di non valere e il mistero dell’esser nostro influenzano profondamente i giovani di oggi. Questo sentimento di paura è predominante nella giovinezza contemporanea, manifestandosi come:
- Paura di non valere.
- Paura di non essere abbastanza.
- Paura di non poter provare amore.
L’immagine, quindi, diventa una fonte di conforto, mentre il continuo susseguirsi di immagini sui social crea una realtà alternativa che offre serenità. È sorprendente pensare che una tredicenne possa contattare il 114 per lamentarsi della privazione del telefono, ma è altrettanto incredibile non riconoscere il feticcio che il telefono rappresenta nella sua vita. La mancanza di un dialogo sincero e di un incontro autentico con i giovani può portare a una distanza incolmabile, rendendo difficile la comprensione delle loro vere necessità e paure. La chiave per affrontare queste sfide è avvicinarsi ai giovani con sincerità e disponibilità , creando uno spazio di ascolto e comprensione.
Riconoscere il valore del dialogo
È fondamentale riconoscere il valore del dialogo nel rapporto con i giovani. Avvicinarsi a loro con sincerità e disponibilità è essenziale per costruire relazioni significative. Senza la percezione del mistero che l’altro rappresenta, ogni tentativo di interazione rischia di diventare astratto e può sfociare in forme di violenza educativa. È necessario che gli adulti comprendano che il figlio è un bisogno che non conoscono e che forse non sanno neppure amare . La mancanza di un vero incontro quotidiano porta a relazioni superficiali, dove le azioni educative possono trasformarsi in ricatti . È importante che le azioni educative siano radicate in un rapporto di conoscenza e non diventino forme alternative di violenza. In questo contesto, il dialogo rappresenta una possibilità di rinascita.
Sedersi accanto a un ragazzo distratto e iniziare a parlargli, anche se non risolve i problemi, offre un’opportunità di silenzio carico di vita, capace di far sorgere, in mezzo alla confusione, qualcosa di nuovo, che possa ancora essere chiamato speranza .