Il 55esimo World Economic Forum si apre in un contesto di crisi e assenze significative, con un focus su leader globali e le loro manovre.
Il contesto del World Economic Forum 2023
Il 55esimo World Economic Forum si apre in un clima di incertezze politiche e sociali , caratterizzato da assenze significative di leader chiave. Tra i nomi di spicco che non parteciperanno ci sono il leader cinese Xi Jinping e il presidente russo Vladimir Putin . Inoltre, è probabile che anche il primo ministro indiano Narendra Modi e il presidente brasiliano Luiz Lula non siano presenti, mentre è atteso l’arrivo del presidente argentino Javier Milei . Questo scenario evidenzia una crisi profonda del “vangelo di Davos” , un concetto che si è sviluppato negli ultimi trent’anni attorno ai principi della globalizzazione economica e dell’ ordine mondiale stabilito dopo la fine della Guerra Fredda. Il Wef non appare più come il luogo d’incontro di un pianeta liberato dalle guerre, ma piuttosto come un forum in cui la classe dirigente globale si trova a dover affrontare una realtà complessa e sfidante.
In questo contesto, il Wef sembra essere sotto attacco da parte di forze politiche, economiche e culturali che si oppongono alla sua visione. La resistenza del Wef a queste opposizioni è evidente, poiché continua a sostenere la globalizzazione , la finanziarizzazione , la digitalizzazione e la secolarizzazione delle strutture economiche e politiche. Tuttavia, la situazione attuale suggerisce che il mondo sta scivolando verso un caos crescente, come evidenziato da un recente articolo del New York Times che afferma: “Il mondo pare scivolare verso il massimo caos”.
Le assenze di leader globali
Saranno assenti due ospiti a cinque stelle di passate edizioni: il leader cinese Xi Jinping e quello russo Vladimir Putin . E, salvo colpi di scena, non dovrebbero muoversi dal nuovo Global South nemmeno il Premier indiano Narendra Modi , né quello brasiliano Luiz Lula . È dato in arrivo invece l’argentino Javier Milei . Questo quadro sintetico segnala da solo la crisi profonda del “vangelo di Davos”, affinato nell’ultimo trentennio sui mantra della globalizzazione economica e dell’ ordine mondiale ristabilito dopo la fine della Guerra fredda. Il Wef non appare più il luogo d’incontro dedicato di un pianeta liberato dalle guerre e avviato fiduciosamente verso una pretesa “fine della storia” di pace, sviluppo economico, affermazione graduale ma irreversibile – nel lungo periodo – di modelli politici liberali. Attorno alla Montagna Incantata di Thomas Mann, la classe dirigente per eccellenza del pianeta sembra invece affannosamente impegnata a stendere filo spinato: per difendere la propria cultura di governance globale che si ritrova invece come principale imputata di un fallimento epocale, difficilmente negabile.
La resistenza del Wef
Il World Economic Forum continua a sostenere la globalizzazione nonostante le crescenti opposizioni e le crisi globali. Questo evento, che si è affermato nel tempo come un simbolo della governance globale, si trova ora a fronteggiare una crisi profonda del suo “vangelo di Davos” , un concetto che si è sviluppato negli ultimi trent’anni attorno ai principi della globalizzazione economica e dell’ordine mondiale stabilito dopo la fine della Guerra Fredda. In questo contesto, il Wef non appare più come il luogo d’incontro di un pianeta liberato dalle guerre, ma piuttosto come un’istituzione che si sforza di difendere la propria cultura di governance globale, la quale è diventata oggetto di critiche e contestazioni. La classe dirigente sembra essere impegnata a costruire una sorta di “filo spinato” attorno a sé, per proteggere i propri interessi e le proprie ideologie. In tutto il mondo, emergono forze politiche, economiche e culturali che vedono in Davos un simbolo di ciò che combattono e desiderano abbattere.
Nonostante ciò, i rappresentanti del Wef, definiti i “Davos Men” , non mostrano segni di voler deflettere dalla loro posizione; al contrario, sembrano determinati a resistere . Un recente articolo del New York Times , firmato da Borge Brende, ex ministro degli Esteri norvegese, sottolinea che il mondo sta scivolando verso un caos crescente, suggerendo che solo i Profeti della Montagna Incantata possono fornire una guida in un contesto così disordinato. Le prospettive future per il Wef e il suo ruolo nel mondo rimangono in discussione, con la consapevolezza che i conti saranno tratti già a Davos 2026, ma difficilmente saranno gli ultimi.
Il futuro incerto
Dodici mesi dopo, il panorama del World Economic Forum (Wef) è cambiato drasticamente, con assenze significative che evidenziano una crisi profonda del “vangelo di Davos” . I leader globali come Xi Jinping e Vladimir Putin non parteciperanno, e anche figure come il Premier indiano Narendra Modi e il Presidente brasiliano Luiz Lula sono attesi in assenza. Questo scenario mette in luce le difficoltà del Wef, che non appare più come il luogo d’incontro di un mondo liberato dalle guerre e in cerca di pace e sviluppo economico. Al contrario, la classe dirigente sembra essere impegnata a difendere una cultura di governance globale che è ora sotto accusa per un fallimento epocale.
Il nuovo caos
In un contesto di crescente instabilità, il Wef si trova a fronteggiare forze politiche ed economiche che si oppongono alla globalizzazione e alla finanziarizzazione. La resistenza del Wef è evidente, ma la domanda rimane: il mondo stabile è finito? Un recente articolo del New York Times di Borge Brende , ex ministro degli Esteri norvegese, sottolinea che il mondo sembra scivolare verso il massimo caos. Le prospettive future sono incerte e i conti saranno tratti a Davos 2026, ma è improbabile che siano gli ultimi.
Fonte: ilsussidiario