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James Mangold racconta il biopic su Bob Dylan: un viaggio tra storia e musica

Il regista James Mangold parla del suo film su Bob Dylan, esplorando la complessità della sua figura e il contesto storico degli anni ’60.

La genesi del film ‘A complete unknown’

James Mangold ha condiviso la sua esperienza nella creazione del film A complete unknown , rivelando che ha trascorso momenti significativi con Bob Dylan , durante i quali hanno avuto conversazioni dirette. Mangold ha presentato a Dylan un copione che il cantautore ha annotato personalmente. Secondo il regista, la ragione per cui Dylan ha accolto con favore il progetto è che i migliori film biografici non raccontano l’intera vita di una persona, ma si concentrano su momenti specifici. In questo caso, il film si propone di analizzare l’atmosfera dei primi anni ’60 a New York . Mangold descrive un giovane Dylan, un ragazzo di diciassette anni che, con soli sedici dollari in tasca, si dirige verso la Grande Mela per incontrare il suo mentore Woody Guthrie , che si trova in ospedale.

Questo incontro segna l’inizio della sua carriera musicale. Il film coinvolge gli spettatori nei primi passi di un artista che ha avuto un impatto significativo sulla musica del secondo Novecento, presentando un uomo misterioso e difficile da decifrare, sia nella sua arte che nella sua vita personale. Dylan è ritratto come un individuo che, pur essendo circondato da amanti e mentori, rimane sconosciuto a se stesso, in cerca di ispirazione per le sue canzoni e rifiutando di essere etichettato. Mangold segue la storia pubblica di Dylan, che in pochi mesi diventa una star, firmando con una delle più grandi case discografiche e registrando vendite record, diventando un rivale dei Beatles . Tuttavia, il film esplora anche la complessità della sua realtà umana e psicologica, ponendo domande cruciali sulla sua figura: è Dylan un menestrello folk, simbolo della contestazione giovanile, o è solo una costruzione mediatica?

Le interviste rilasciate da Dylan negli anni mostrano il suo disinteresse per le etichette e le cause sociali, evidenziando il suo desiderio di continuare a scrivere canzoni senza preoccuparsi del successo commerciale.

Un artista misterioso e complesso

Dallo schermo, gli spettatori vengono immediatamente coinvolti nei primi passi di un artista che ha segnato la musica del secondo Novecento, presentato come un uomo misterioso e complesso . Bob Dylan è descritto come una figura difficile da decifrare, non solo per la sua arte compositiva, ma anche per il suo sguardo enigmatico e sconosciuto verso chi lo circonda, inclusi amanti, mentori e discografici. Inoltre, Dylan appare sconosciuto a se stesso, mentre insegue in modo quasi maniacale l’ispirazione per le sue canzoni, rifiutando di essere etichettato e di vedere la sua creatività ridotta a un prodotto da vendere a un pubblico sempre più adorante e invasivo.

La complessità della figura di Dylan

La narrazione cinematografica di James Mangold mette in luce la dualità tra la storia pubblica e la realtà interiore di Dylan. Da un lato, c’è l’immagine del menestrello folk, icona dell’America libertaria e della contestazione delle nuove generazioni pre-sessantottine, mentre dall’altro emerge un artista che sembra poco interessato ai movimenti popolari della sinistra liberal . Mangold pone domande cruciali: Bob Dylan è davvero il simbolo di una generazione o è solo una costruzione mediatica?

Citazioni di Bob Dylan

Le interviste rilasciate da Dylan negli anni descritti nel film confermano questa complessità:

  1. “Voglio solo continuare a cantare e scrivere canzoni. Non mi interessa fare un milione di dollari. Cosa farei se avessi un sacco di soldi? Mi comprerei un paio di motociclette, qualche condizionatore e quattro o cinque divani.”
  2. “In realtà non mi ritengo proprio un cantante folk e non canto solo folk. Tanta gente è tutta musica folk! Non pretendo di chiamarle canzoni folk o roba del genere. Per me sono pezzi contemporanei.”
  3. “Suonavo la chitarra già da quando avevo dieci anni, perciò mi sono detto, bè, forse è quello che so fare. Forse è il mio piccolo dono: c’è chi sa fare torte, chi sa tagliare gli alberi. Nessuno ha diritto di dire che certi doni sono migliori di altri.”
  4. “Immagino di inventarle o di prenderle da qualche parte ma le canzoni sono già lì, prima che arrivi. È come se io mi limitassi a prenderle ad annotarle con una matita.”
  5. “Non faccio cose come protestare contro la guerra in Vietnam. Chi siamo noi per dire di no a qualcuno che vuole combattere? Dobbiamo imparare a prenderci cura di noi.”

Queste affermazioni rivelano un artista che si distacca dalle etichette e dalle aspettative, confermando la sua natura controcorrente e la sua ricerca di autenticità.

La storia pubblica e privata di Bob Dylan

James Mangold esplora la complessità della figura di Bob Dylan , mettendo in luce la dualità tra la sua immagine pubblica e la sua realtà interiore . Il film si concentra su un periodo cruciale della vita di Dylan, analizzando come il giovane artista, all’epoca un menestrello folk , sia diventato un’icona della contestazione e della cultura libertaria americana. Mangold pone domande fondamentali: Dylan è davvero il simbolo di un’epoca di cambiamento o è solo una costruzione mediatica?

La complessità dell’artista

Dylan è descritto come un uomo misterioso e difficile da decifrare , non solo nella sua arte, ma anche nella sua vita personale. La sua ricerca di ispirazione è quasi maniacale, e il regista sottolinea come Dylan rifiuti di essere etichettato, cercando di mantenere la sua creatività al di fuori delle aspettative del pubblico.

La storia pubblica di Dylan

Mangold segue la narrazione di un giovane vagabondo del Minnesota che, con soli sedici dollari in tasca, si dirige verso New York per incontrare il suo idolo, Woody Guthrie . In pochi mesi, Dylan firma con una delle più grandi case discografiche e diventa un rivale dei Beatles .

La realtà interiore di Dylan

Tuttavia, la realtà psicologica di Dylan è molto più complessa. Le sue interviste rivelano un artista che non si interessa ai movimenti sociali, ma desidera semplicemente che la sua musica venga ascoltata. Le sue parole, come “Voglio solo continuare a cantare e scrivere canzoni”, evidenziano il suo disinteresse per il denaro e le etichette.

Il rifiuto delle etichette

Dylan afferma di non considerarsi un cantante folk, ma piuttosto un compositore di pezzi contemporanei . La sua musica è vista come un’espressione personale, lontana dalle etichette imposte dalla società.

La rivoluzione musicale del 1965

Nel 1965, Dylan compie una rivoluzione musicale , passando dall’acustico all’elettrico, sfidando le convenzioni musicali dell’epoca. Questo cambiamento avviene durante il Festival di Newport , dove affronta polemiche e critiche. Dylan commenta che non gli importa delle etichette, ma che la sua musica è un’espressione del mistero e della creatività . Dylan conclude che dedicarsi a una causa è inutile, sottolineando l’importanza di concentrarsi sulla propria arte piuttosto che sulle aspettative altrui. La sua evoluzione continua, portandolo a esplorare nuove direzioni musicali e a mantenere un’identità che rimane, in parte, sconosciuta anche a se stesso.

La rivoluzione musicale di Dylan nel 1965

Nel 1965, Bob Dylan intraprende una vera e propria rivoluzione musicale , trasformando il suo stile da acustico a elettrico , segnando così un passaggio fondamentale nella storia della musica. Questo cambiamento non è solo una questione di suono, ma rappresenta una sfida contro le aspettative e le convenzioni della musica tradizionale americana. La svolta avviene durante il Festival di Newport , dove Dylan affronta vivaci polemiche e contrasti sia tra il pubblico che nel backstage.

Commento di Dylan

Dylan stesso commenta questa transizione, affermando: “Per quanto riguarda la questione folk e folk-rock non mi importa quali stupidi nomi si inventa la gente per la musica. La musica tradizionale viene da leggende, dalla Bibbia, dalle pestilenze: nessuno può uccidere la musica tradizionale.”

Il cambiamento e le reazioni

Questo cambiamento di direzione musicale provoca reazioni contrastanti, con alcuni fan che lo fischiano e altri che lo applaudono. Dylan riconosce la frustrazione del pubblico, ma sottolinea che la sua evoluzione artistica è necessaria: “Niente è più come prima, ormai. La primavera scorsa ero sul punto di mollare, ero davvero stanco.”

L’importanza di “Like a Rolling Stone”

Un momento cruciale in questa evoluzione è rappresentato dalla canzone “Like a Rolling Stone” , che Dylan considera un punto di svolta nella sua carriera. Egli afferma che dopo averla scritta, non gli importava più di scrivere libri o poesie, poiché le sue canzoni avevano assunto un nuovo significato e una nuova forma.

Rifiuto delle etichette

Dylan rifiuta anche l’idea di essere etichettato come un semplice cantante folk , affermando che le sue canzoni sono pezzi contemporanei e non devono essere limitate a una sola categoria. La sua visione della musica è quella di un’arte che trascende le etichette e le aspettative, permettendo una maggiore libertà creativa. In questo contesto, Dylan si distacca dalle cause sociali e dalle etichette, affermando: “Non è inutile dedicarsi alla pace e all’uguaglianza razziale, è inutile dedicarsi a una causa! È davvero da ignoranti.” Questo atteggiamento riflette la sua ricerca di autenticità e la sua volontà di rimanere fedele alla propria visione artistica.

Le parole di Bob Dylan: un artista controcorrente

Dylan esprime il suo disinteresse per le etichette e le cause sociali, concentrandosi sulla sua musica. Le sue parole rivelano un artista che non si lascia definire da categorie preconfezionate, ma che vive la sua arte in modo autentico e personale.

Interviste e dichiarazioni

Dalle interviste rilasciate da Bob Dylan negli anni in cui è ambientato il film, emergono alcuni concetti chiave:

  1. “Voglio solo continuare a cantare e scrivere canzoni. Non mi interessa fare un milione di dollari. Cosa farei se avessi un sacco di soldi? Mi comprerei un paio di motociclette, qualche condizionatore e quattro o cinque divani” (dal testo all’interno del disco “Bob Dylan”, 1962).
  2. “In realtà non mi ritengo proprio un cantante folk e non canto solo folk. Tanta gente è tutta musica folk! Non pretendo di chiamarle canzoni folk o roba del genere. Per me sono pezzi contemporanei” (intervista radiofonica a New York, inizio 1962).
  3. “Suonavo la chitarra già da quando avevo dieci anni, perciò mi sono detto, bè, forse è quello che so fare. Forse è il mio piccolo dono: c’è chi sa fare torte, chi sa tagliare gli alberi. Nessuno ha diritto di dire che certi doni sono migliori di altri. Per me questo è il mio dono” (intervista radiofonica, 1963).
  4. “Immagino di inventarle o di prenderle da qualche parte ma le canzoni sono già lì, prima che arrivi. È come se io mi limitassi a prenderle ad annotarle con una matita” (maggio 1962, conversazione televisiva con Pete Seeger).
  5. “Non faccio cose come protestare contro la guerra in Vietnam. Chi siamo noi per dire di no a qualcuno che vuole combattere? Dobbiamo imparare a prenderci cura di noi” (intervista all’Atlanta Journal, 1965).

Dylan, quindi, si distacca dalle aspettative sociali e dalle etichette, affermando la sua individualità e la sua visione artistica. La sua musica diventa un mezzo per esprimere la sua essenza, piuttosto che un veicolo per messaggi politici o sociali. Questo approccio controcorrente lo rende un artista unico, sempre in cerca di autenticità e libertà creativa.

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